La protagonista di “Dog Lady” (titolo originale “La mujer de los perros”), presentato in concorso alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro 2015, è una donna sola che vive nei campi insieme a un branco di cani randagi. Non parla, e di questo branco sembra essere la regina.
Non sappiamo se la sua sia una scelta, un destino o una malattia, ma questa donna letteralmente ai margini ha ancora qualche connessione con il mondo civile: la città di Buenos Aires, che la donna senza nome esplorerà nell’anno durante il quale la seguiamo, con le stagioni a scandire i capitoli di questa eccentrica relazione.
L’esercizio delle due registe esordienti Laura Citarella e Verónica Llinás (quest’ultima è anche la protagonista del film e nota attrice comica argentina) è un’interessante ribaltamento di prospettiva metacinematografica: il linguaggio è quello del documentario più estremo, fatto di osservazione pedissequa e privo di commento né tantomeno giudizio; a sua volta l’attività della protagonista è proprio quella di osservare, senza commentare, la società civile nei suoi riti e nelle sue ossessioni, riflettendo come uno specchio il nostro sguardo, così da ritrovarci a osservare noi stessi.
Di contro, nelle scene naturalistiche della vita con il branco, risaltano la fotografia, il suono e il montaggio ipnotici, che indugiano sui riti quotidiani della vita selvaggia che nulla sembra turbare, nemmeno il malanno invernale della donna senza nome, che passa da solo col tornare della primavera.