Tim Robbins è quello stesso Tim Robbins
C’è un Tim Robbins, ottimo attore e regista, che conoscete tutti.
Bene, il Tim Robbins di questo disco è esattamente lo stesso. Non è un omonimo: è proprio quel Tim Robbins.
Perché mai Tim Robbins deciderebbe, a cinquantadue anni compiuti in questi giorni, di mettere insieme abbastanza materiale per un album d’esordio? Innanzitutto, perché è bravo. In secondo luogo, perché è sempre stato circondato da musicisti. E ne ha interpretati altrettanti.
E ora parliamo dell’album, che è una collezione molto coerente di folk country e blues agghindata da ritmi lenti e rarefatti, corni inglesi, fisarmoniche, ghironde, pianoforte strappacuore e la partecipazione di Joan As Policewoman.
Protagonista la voce imperfetta, sofferente di Robbins. Questa opera prima non è nulla che non si sia sentito prima: spesso viene da gridare: «ecco Bonnie “Prince” Billy!», eppure il lavoro che c’è dietro al disco si sente ad ogni passaggio, il country arrabbiato e veloce di “Time To Kill” soddisfa ampiamente, la band è in gran forma, i testi sono scritti dalla mano più ispirata che sia mai comparsa su Loveboat.
Tutto sommato, non c’è che dire. Susan Sarandon, comprendo il tuo dolore.