Il 20 febbraio 2016, entrando al Monk Club per il concerto dei Tortoise, l’aria che si respira è ottima, pochi sono li per caso, e sono molte le persone in fila ancora ai botteghini, anche se, a causa del sold out, alcuni sono rimasti fuori purtroppo (il locale si è dimostrato un po’ piccolino in effetti).
Alle 22:30 dopo l’apertura del bravo Sam Prekop, si entra in massa nella sala concerto, e dopo poco ci ritroviamo schiacciati come sardine, poi, senza solenni introduzioni e con sobrietà, ecco i Tortoise, che si avvicinano alle loro posizioni, già queste insolite per un palco di musica dal vivo: abbiamo al centro i due batteristi, John Herndon e John McEntire, con i set posizionati specularmente uno di fronte all’altro, alle loro spalle il vibrafono a destra e vari sintetizzatori a sinistra e frontalmente rispetto al pubblico il basso di Doug McCombs e la chitarra di Jeff Parker.
Un rapido saluto e parte il primo pezzo: da qui ci si perde come nella tana del bianconiglio, una successione ordinata di suoni morbidi, avvolgenti, ritmiche con polimetrie semplici ma mai banali, si avvicendano e si susseguono, in uno scorrere nel quale è piacevole abbandonarsi per poi ritrovarsi dopo qualche battuta, ma è l’aspetto melodico che affascina di più, si passa da temi semplici a piccole “fughe” con orpelli jazzistici, fino a fraseggi latin, quest’ultimi utilizzati in particolare nella parte finale del concerto dove è stato pressoché impossibile non muovere i piedi, grazie anche alla forte deriva trip hop della band.
Il volume della band seppur abbastanza alto non arriva mai a essere fastidioso, complice l’acustica della sala ed evidentemente il lavoro del fonico. I Tortoise hanno portato brani del loro repertorio classico, ma ovviamente anche tutti quelli del nuovo lavoro, “The Catastrophist“, uscito a gennaio 2016. Una band storica (il primo disco è del 1994) e nonostante tutto sconosciuta ai più, che ha segnato e segnerà ancora con questo disco il mondo della musica.
di Sergio Di Giangregorio