Se può esprimersi in cifre, allora non è più un’opinione ma qualcosa di più, un riconoscimento almeno. E questo dovrebbe bastare. Così, da bravi louders, prima di iniziare, diamo un po’ i numeri:
4 – i dischi prodotti e che li hanno portati alla ribalta nelle music charts internazionali;
10 – gli anni passati dall’esordio con Inside In / Inside Out;
3000 – circa, le persone presenti che domenica 22 febbraio 2015 hanno obbligato al sold – out il Fabrique di Milano per l’unica data italiana di questa tournée;
21– la start hour prevista per il concerto.
Di chi parliamo? Signore e signori, i The Kooks.
Il quando e il dove ormai lo sapete: è domenica, 22 febbraio 2015, appunto, e siamo al Fabrique di Milano, qui in via Fantoli, tra quindicenni e wannabe quindicenni che popolano questo enorme capannone riadattato a locale, ad aspettare che la band inglese battezzata dal Duca Bianco – per quel nome rubato al singolo di Hunky Dory – salga sul palco e trasformi l’aria in musica.
La location si presta: il suo essere perfetta cassa di risonanza viene subito testato con l’american indie pop dei Bleachers che, veloci e indolori, cedono ben presto i riflettori a Luke Pritchard e agli altri membri della rinnovata formazione.
“Around Town” apre le danze. Primo pezzo eseguito questa sera, primo singolo ad essere sperimentalmente prodotto in questo nuovo album dei The Kooks: “Listen”. Ascolta.
Data la caducità del titolo, verrebbe da pensare che questi inglesi di certo non la mandino a dire e, sebbene voglia essere un suggerimento, appare quasi come un imperativo. L’esercito di seguaci che affolla il Fabrique si presta bene all’ordine, è tutta orecchi, partecipe e presente.
Il sound da subito proposto è lontano da quello che ha sancito l’istantanea fama dei quattro di Brighton. Più maturo e consapevole, si radicalizza nell’r&b, tra soul e hip hop. Sarà merito del nuovo producer Inflo? Chissà. Poco conta comunque, perché questa nuova pelle alletta forse anche di più di quella vecchia: “Ooh La”, “Bad Habit”, “Down” quasi echeggiano tra queste mura, ripetute parola per parola dal pubblico qui accorso.
Niente da aggiungere in merito, il brit-rock dei The Kooks si tinge di nuovi ritmi, più calzanti, più funk, con diverse contaminazioni e ibride vibrazioni. Ok, piace. Ma è con “Do You Wanna”, “Junk of the heart” e “Naive” che la tensione sale e tocca l’apice della serata. Perché si sa, il primo amore non si scorda mai.
Il live è giusto, né troppo, né troppo poco. Non ci sono eccessi che conquistano, ma non viene nemmeno da chiedersi per quale assurda ragione si sia comprato il biglietto, quasi fosse un supplizio. È scandito da brevi interruzioni e scorre liscio per un’ora e mezza o poco più. Semplice ed efficace, trova il giusto equilibrio tra la ruffianaggine del frontman e basici effetti visivi proiettati tra luci e fumi vari: la scena è infatti un po’ asettica e l’unico elemento curioso è quella statuetta di Buddha sull’amplificatore centrale. Luke ci scherza su e corteggia i presenti dicendo di credere solo in loro, in noi. Saltella poi qua e la e padroneggia quel palco come chi dovrebbe fare se ha venduto circa 2 milioni di dischi.
Ecco, in verità magari le aspettative sarebbero state diverse. Da ingordi di musica si cerca sempre quel tocco in più che sancisca l’irripetibile successo dell’evento, ma dopotutto anche questa sera, al termine del live, si rompono le righe soddisfatti e felici. E va bene così.
La scaletta della serata:
Around Town
See the World
Ooh La
London
Bad Habit
Down
She Moves
Eddie’s Gun
Seaside
Dreams
Westside
Always Where
Junk of the Heart (Happy)
Sweet Emotion
Saboteur
Sway
Sofa Song
Forgive & Forget
See Me Now
Do You Wanna
Naïve