Zerocalcare è l’uomo che ha portato i fumetti in cima alle vendite di libri in Italia. “La profezia dell’Armadillo” è il titolo della sua prima raccolta, pubblicata dalla milanese Bao Publishing, e da quella raccolta la Fandango di Domenico Procacci ha provato a cavare un film che raccontasse una generazione con la stessa attrattiva dell’originale a fumetti.
Il film omonimo, presentato in concorso nella sezione Orizzonti della Mostra di quest’anno, non ha gli elementi per portare al cinema italiano la scossa che è stata Zerocalcare per l’editoria. Fatta la tara a questa ansia da prestazione “La profezia dell’Armadillo” riesce comunque a essere all’altezza della spontaneità del mondo di Zerocalcare (che firma la sceneggiatura col suo vero nome, Michele Rech, insieme Oscar Glioti, Valerio Mastandrea e Johnny Palomba) ma ha tenuto a ribadire l’indipendenza di questo progetto dai suoi.
La storia del film si adegua al libro riprendendone le situazioni, diventate un culto fra i lettori (la madre impedita al computer, l’amico alienato Secco, le prediche esistenziali dell’immaginario Armadillo, l’insofferenza intestina fra i quartieri di Roma), e il fil rouge costituito dalla malattia dell’amica d’infanzia francese Camille.
Quell’umorismo romanesco che Zerocalcare ha codificato con tanto successo a fumetti non era in realtà inedito al cinema, e l’esempio è proprio il cinema dell’attore (che inizialmente avrebbe dovuto dirigere il film) Valerio Mastandrea e di tutta la banda di attori e comici romani che negli ultimi anni ha avuto grossa visibilità (citiamo solo “Boris”, “Lo chiamavano Jeeg Robot” e “Smetto quando voglio”). Chi ha amato il fumetto qui ne vedrà una versione annacquata (oltre che una inevitabile copia carbone), ma in realtà “La profezia dell’Armadillo” è una nuova istanza della comicità romanesca al cinema che citavamo, che ne testimonia la vivacità e l’apprezzamento del pubblico, dentro e fuori il Grande Raccordo Anulare.
Il film schiva il rischio di una pessima animazione dell’animale totemico del protagonista, l’Armadillo, realizzandolo in gommapiuma e facendolo interpretare dal vivo a un caratterista come Valerio Aprea, completamente nascosto col corpo ma clamorosamente evidente con la voce.
La pessima animazione però il film non se la fa mancare: il film è introdotto e concluso da sequenze animate che cercano di riprendere i modelli del fumetto. C’è un apprezzabile sforzo tecnico, una dimostrazione, ma il risultato non è ancora accettabile. Non avendo nemmeno relazione col resto del film, ci si poteva rinunciare senza dolori.